Anche se solo oggi è diventato un concetto di tendenza nel  mondo dell’innovazione, le sue radici risalgono agli anni '60, quando la scuola  di design di Stanford e figure come Herbert Simon iniziarono a studiare il  pensiero progettuale come un processo strutturato e pragmatico per risolvere  problemi complessi. Diverse aziende hanno contribuito a trasformarlo in un  approccio pratico applicabile in mille settori diversi, dimostrando che il modo  di pensare dei designer poteva essere utile ben oltre la progettazione industriale.
    
Oggi il Design Thinking viene utilizzato per ripensare  prodotti, servizi, esperienze e persino modelli di business. La sua forza sta  nel mettere le persone al centro, studiando i loro bisogni, le loro emozioni e  i loro comportamenti per creare soluzioni sempre efficaci.
      
Non è una formula rigida, ma un percorso fatto di  esplorazione e sperimentazione. Si parte dall’osservazione e dall’empatia:  capire il contesto, ascoltare le persone e raccogliere intuizioni che possano  trasformarsi in idee. Poi si passa alla fase creativa, dove si generano  molteplici soluzioni, senza pregiudizio o limitazioni. Solo dopo si arriva al  momento di testare, modificare ed evolvere.
      
La sua natura iterativa lo rende diverso da qualsiasi altro  approccio: non si cerca la perfezione al primo colpo, ma si procede per  tentativi, con prototipi e feedback continui. Questo permette di ridurre il  rischio di investire tempo e risorse in direzioni sbagliate e di arrivare a  soluzioni più solide e innovative.
    
Un altro aspetto fondamentale è la collaborazione. Il Design  Thinking funziona meglio quando si lavora in team multidisciplinari ed  eterogenei, combinando prospettive diverse per affrontare i problemi da  angolazioni inedite. La diversità non è un ostacolo, ma un acceleratore di  idee. 
      
In fondo, si tratta di tornare a un modo più naturale di risolvere problemi: osservare, sperimentare, imparare e migliorare. Un metodo che può essere applicato in qualsiasi ambito, anche nella vita di tutti i giorni. E forse è proprio questo il suo segreto: non è solo un processo di innovazione, ma una mentalità.
La prima fase del Design Thinking si concentra sull'empatia,  ossia il comprendere profondamente i bisogni, i desideri e i problemi degli  utenti finali.
    
Strumenti e metodi:
    
Interviste approfondite.
    
Osservazioni sul campo.
    
Creazione di mappe empatiche.
    
Risultato: Una comprensione dettagliata delle esperienze e  delle difficoltà che gli utenti affrontano.
    
Dopo aver raccolto informazioni, è il momento di  sintetizzarle e definire chiaramente il problema da risolvere.
    
Obiettivo: Formulare una problem statement che guidi le fasi  successive del processo.
    
Attività chiave:
    
Analizzare i dati raccolti.
    
Identificare schemi, bisogni e opportunità.
    
Scrivere un’affermazione chiara: ad esempio, "Come  possiamo aiutare un X utente a svolgere un Y bisogno per ottenere un Z  beneficio?".
    
Risultato: Un punto di partenza comune che tutti nel team  comprendono e condividono.
    
Ora che il problema è chiaro, è il momento di esplorare  soluzioni innovative.
    
Obiettivo: Ampliare il ventaglio di idee senza limitazioni  iniziali.
    
Strumenti e metodi:
    
Brainstorming.
    
Tecniche come SCAMPER (Sostituisci, Combina, Adatta,  Modifica, Proponi altri usi, Elimina, Riformula).
    
Sketching di concetti rapidi.
    
Regole chiave:
    
Nessuna idea è sbagliata, ora quel che conta è la quantità  di idee, non la qualità! 
    
Sospendere il giudizio critico.
Puntare sulla quantità per favorire la qualità.
    
Risultato: Un’ampia gamma di idee pronte per essere  valutate.
    
In questa fase, le idee vengono tradotte in prototipi  tangibili, che possono essere modelli fisici, storyboard, mockup digitali o  simulazioni.
    
Obiettivo: Creare versioni semplici e veloci del prodotto o  servizio per testarne la fattibilità, non bisogna perdere tempo per  perfezionare o “imbellettare” i prototipi, questa fase deve essere snella e  concreta, altrimenti rischiamo solo di perdere tempo. 
    
Attività chiave:
    
Identificare gli elementi chiave da prototipare.
    
Costruire prototipi economici e iterativi.
    
Coinvolgere il team nel perfezionare il prototipo.
    
Risultato: Un prodotto tangibile che rappresenta la  soluzione proposta, pronto per essere testato.
    
Infine, è il momento di mettere il prototipo nelle mani  degli utenti per raccogliere feedback utili.
    
Obiettivo: Capire cosa funziona, cosa non funziona e come  migliorare.
    
Attenzione: mai innamorarsi di un’idea! Se non funziona,  devo essere pronto a cambiare strategia. 
    
Attività chiave:
    
Osservare gli utenti mentre interagiscono con il prototipo.
    
Fare domande mirate per raccogliere insight.
    
Iterare rapidamente per risolvere i problemi riscontrati.
    
Risultato: Una soluzione più affinata, basata sui dati reali  e pronta per essere implementata.
    
Le cinque fasi del Design Thinking non sono rigide e lineari: spesso si torna indietro per rivedere passaggi e integrare nuove informazioni. Questa metodologia è un processo ciclico che favorisce innovazione, collaborazione e soluzioni realmente centrate sugli utenti.